Il sistema previdenziale italiano… questo sconosciuto!

Ti sarai accorto che il pensionamento oggi sta cambiando connotati, sia per come ci si arriva, sia per come viene finanziato.

Anche in Italia, come negli altri paesi europei, la popolazione sta invecchiando.

Sai perché?

I fattori principali sono tre:

1. Il crollo delle nascite;

in Italia le donne fanno mediamente 1,3 figli a testa, il che significa che ogni coppia “produce” un solo individuo, numero insufficiente per mantenere in equilibrio la popolazione.

2. L’aumento del numero degli anziani;

sta, infatti, diventando vecchia la generazione più numerosa della storia, quella dei baby boomer;

3. Un incremento dell’aspettativa di vita;

per gli uomini attualmente è 80 anni e 85 anni per le donne ed è previsto un ulteriore aumento nei prossimi decenni.

Pensa che, se hai un figlio nato negli anni 2000, ha prospettive di vita centenaria.

Sarai d’accordo con me che questi elementi portano ad un invecchiamento progressivo e costante del paese.

Riesci ad immaginare quali siano le conseguenze di questo invecchiamento?

Ragioniamo insieme.

Di sicuro, come prima cosa, una probabile diminuzione della produttività del paese.

Non meno importante, un aumento della spesa sanitaria per assistere gli anziani, sempre più numerosi e sempre più longevi.

Inevitabile anche un aumento della spesa delle famiglie per l’assistenza specializzata degli anziani stessi.

Queste nostre prime considerazioni ci portano a valutare gli effetti socio economici, ma come si riflette tutto questo sul sistema previdenziale?

Sempre più pensionati, per periodi di pensionamento sempre più lunghi e sempre meno forza lavoro per sostenerli.

A questo punto facciamo un passo indietro per comprendere meglio questo fenomeno e vediamo di quale sistema previdenziale stiamo parlando.

Come saprai, ne esistono sostanzialmente due modelli:

1. Il modello a capitalizzazione, dove i lavoratori mettono da parte per il proprio futuro pensionistico una quota dei propri redditi da lavoro. Questo denaro, versato in una specie di salvadanaio personale, viene investito ed il capitale più la rendita costituiscono il montante pensionistico, di cui dispone il lavoratore nel momento in cui va in pensione. Con questo sistema, quindi, ognuno mette da parte per sé e ognuno gode di quanto ha destinato alla propria vecchiaia.

2. Il modello a ripartizione, attualmente ancora in vigore in Italia. Questo modello prevede che ogni lavoratore versi una parte del proprio reddito da lavoro in una cassa comune, alla quale contestualmente attingono i pensionati per vivere. In pratica, è una partita di giro e la cassa è sempre vuota. Comprendi bene che questo sistema si basa su un patto intergenerazionale, che si rinnova di generazione in generazione: io pago la tua pensione oggi e i lavoratori di domani pagheranno la mia.

Il problema è che il sistema a ripartizione funziona solo se c’è equilibrio tra numero di pensionati e di lavoratori, che li sostengono, altrimenti la cassa va in rosso; è il nostro caso! Oggi i cosiddetti anziani, cioè gli over 65, sono circa 13 milioni; le stime per il 2065 ne prevedono circa 18 milioni, 5 milioni in più; viceversa la popolazione in età attiva è oggi di 38 milioni, ma nel 2065 scenderà a 29 milioni, 9 milioni in meno.

Il rapporto tra pensionati e lavoratori è un indice di fondamentale importanza per un sistema previdenziale a ripartizione. Nel 1960 il rapporto tra pensionati e lavoratori in Italia era di 3 pensionati ogni 10 lavoratori, nel 2019 è passato a 7 pensionati ogni 10 lavoratori. Con l’aumento degli anziani e la diminuzione di nuova forza lavoro questo rapporto non può che peggiorare fino ad un prevedibile 10 a 10, cioè un pensionato ogni lavoratore occupato.

Ma che cosa è stato fatto finora per affrontare questa situazione?

Le riforme più recenti hanno cercato di porre rimedio a questo squilibrio, principalmente attraverso tre interventi:

1. Il cambiamento del sistema di calcolo dell’importo della pensione da retributivo, cioè basato sulla media delle ultime retribuzioni, a contributivo, ovvero basato sui contributi realmente versati;

2. Una graduale uscita dal sistema a ripartizione verso un sistema a capitalizzazione, cioè dalla cassa comune al salvadanaio personale;

3. L’adeguamento del reddito pensionistico all’ aspettativa di vita.

Che cosa significa tutto questo per noi lavoratori?Il calcolo contributivo penalizzerà il reddito da pensione pubblica e non sarà più sufficiente a garantire il nostro attuale tenore di vita. Per fare un esempio, con il sistema retributivo un lavoratore poteva aspettarsi un assegno pensionistico pari all’ 80% del proprio reddito. Lo stesso lavoratore con il sistema contributivo potrà contare su una pensione pari a circa il 60% del reddito da lavoro. Questa differenza tra reddito di lavoro e reddito pensionistico stimabile è detta gap previdenziale ed è la quantità di reddito, che ogni singolo lavoratore deve integrare con forme di previdenza complementare, se vuole garantirsi una pensione consona al proprio tenore di vita.

Sarai d’accordo con me che la conclusione a cui si giunge con il nostro ragionamento è che c’è una novità: l’onere del benessere pensionistico, che fino a ieri era in capo allo Stato, oggi è in capo al singolo lavoratore.

Che cosa possiamo fare?

Innanzi tutto, ognuno di noi può informarsi seriamente sulla propria situazione previdenziale. E’ possibile prendere appuntamento presso l’Inps o incaricare un patronato per conoscere l’importo previsionale della propria pensione.

Si calcola, poi, il gap previdenziale, vale a dire la differenza tra il reddito percepito e la pensione futura.

Si individua lo strumento previdenziale integrativo più adatto alle esigenze personali e si richiede al proprio Consulente Finanziario di fiducia una Pianificazione Previdenziale, che permetta di colmare questo gap.

 

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